[BlogTour] Della stessa sostanza dell'amore di Biagio Veneruso - II tappa: Righe impresse nell'animo


Buongiorno lettrici e lettori, oggi, nella seconda tappa del BlogTour dedicato a "Della stessa sostanza dell'amore" conosceremo  meglio insieme questo bellissimo romanzo di Biagio Veneruso, attraverso l'estratto più bello... Sono sicura che vi colpirà come ha colpito me!



Righe impresse nell'animo

Giovanni era il “ribelle” della famiglia. Almeno così lo chiamavano. Se Giuseppe aveva una passione sfrenata per le automobili, Giovanni, da giovane, scoprì di avere dentro l’istinto, incontenibile, di viaggiare per vedere il mondo. Aveva fatto il Liceo, era bravo a scuola e, si sa, studiare “apre la mente”, ne spalanca gli orizzonti. Dopo il diploma, conseguito a pieni voti, fece il militare e, all’inizio degli anni ’60, decise di imbarcarsi su una nave mercantile di proprietà di una compagnia napoletana. Girò mezzo mondo. Quando tornava a casa, a distanza di mesi, non riusciva a trattenersi più di due giorni.
- Ma già te ne vai? Quando ti sistemi? Trovati una bella ragazza e sposati! – gli ripeteva, ogni volta, avvilita, la madre che non aveva mai accettato la sua scelta.
- Non mi manca nulla, mà. Sto bene come sto! – le rispondeva puntualmente Giovanni.
Era stato in Egitto, Etiopia, Sudafrica e, poi, in India, Cina, fino in Giappone. Quando le navi sbarcavano e, una volta terminate le operazioni di scarico delle merci dai containers, l’equipaggio godeva solitamente di tre-quattro giorni di licenza, dipendeva dalla lunghezza del viaggio compiuto. Era in quei giorni che s’infiammava l’indole di Giovanni di esplorare e conoscere. Arrivò in Australia che aveva già venticinque anni e decise di fermarsi. Rimase folgorato da quella terra così selvaggia, eppure così piena di opportunità. Trovò lavoro come autista. Tornava in Italia ogni due o tre anni. Antonio crebbe col mito dello zio d’Australia che aveva girato il mondo e vissuto mille avventure. Ma lo zio Giovanni non si fermava molto con lui e suo fratello a parlare dei suoi viaggi. Antonio non glielo perdonò mai. Da bambino, ogni volta che gli annunciavano il suo arrivo, lui non stava nella pelle, desideroso di ascoltare le sue storie. Gli avrebbe voluto fare mille domande, ma tutte le volte Giovanni parlava poco e, in compenso, sfoderava grandi sorrisi. Antonio spesso si nascondeva dietro le pareti di casa per scrutarne attentamente lo sguardo: nei suoi occhi ci vedeva scorrere le immagini delle onde gigantesche dell’Oceano Indiano in tempesta, delle distese sterminate di sabbia dei deserti, la magnificenza delle Piramidi, degli animali esotici di grandi dimensioni, le sontuose armature dei samurai. E, ogni volta, Antonio rimaneva incantato a spiare quello sguardo, così pieno di luci e vibrazioni.
Matteo conosceva Giovanni dai racconti serali del padre. Antonio si ritrovò, nel tentativo di far addormentare il figlio, a ripercorrere con la memoria i viaggi che lui faceva, da ragazzo, fissando gli occhi dello zio e, in quelle occasioni, puntualmente, veniva attanagliato da una profonda malinconia. Quanto avrebbe voluto rivedere ancora una volta lo zio d’Australia.
Col passare degli anni, i suoi ritorni in Italia divennero sempre più radi. I rapporti con la famiglia si interruppero quando morì la madre. Non gli perdonarono mai di non essersi presentato al funerale. Antonio non ne sentì più parlare fino a quella telefonata. Il resto della storia la raccontò il Notaio Capozzi:
- Un anno e mezzo fa il sig. Giovanni Larini è rientrato in Italia. Ha acquistato un casolare in località Pontelandolfo, in provincia di Benevento e ha vissuto lì fino alla sua morte avvenuta il mese scorso. Aveva 69 anni. E’ deceduto nel cuore della notte. La donna delle pulizie lo ha trovato nel letto, la mattina seguente, con un’espressione serena in viso. Questo è il testamento che mi ha consegnato appena due mesi fa. Ve lo leggo:
“Non so chi leggerà queste parole, ma spero che arrivino a qualcuno che si ricordi ancora di me. Ringrazio il Notaio che scriverà per me dal momento che non ricordo come si scrivono esattamente tutte le parole in italiano.
Non ho mai dimenticato la mia famiglia. L’ho portata sempre con me, nel cuore. In ogni viaggio. In ogni luogo in cui sono andato. Ho pregato molto il Signore che mia madre non stesse troppo in pensiero e non piangesse, ma dentro di me ha sempre avuto il sopravvento il desiderio di partire e scoprire il mondo. Non riesco a spiegare cosa fosse quella spinta che avevo dentro ad andare, a spostarmi continuamente per osservare e imparare cose nuove. Così come non si può spiegare perché il vento o le nuvole solcano i cieli alla ricerca della loro pace. E’ così e basta.
Quando andavo a scuola mi piaceva la storia e, soprattutto, la geografia. Rimanevo incantato a guardare le diverse cartine attaccate allepareti dell’aula e spesso il professore di italiano mi rimproverava. Poi, un giorno, quello stesso professore mi regalò un libro di Salgari, “Il Corsaro Nero”, e da allora quello che era un impulso interiore si trasformò nel mio sogno più grande.
Dopo il militare presi la decisione di imbarcarmi su una nave mercantile di un armatore napoletano, scegliendo quello che allora mi appariva come il lavoro più adatto per viaggiare e conoscere il mondo. Nella vita di ognuno, prima o poi, arriva il momento in cui bisogna scegliere se vivere fino in fondo, seguendo la voce della propria indole, oppure morire dentro rinunciando ai propri sogni. Ed io non ebbi grossi dubbi su quale decisione prendere.
Ma non è stato tutto rose e fiori. La vita di bordo era durissima: il mare grosso, i topi, il freddo, il caldo, il cibo scadente. E, poi, io ricoprivo diverse mansioni: oltre al lavoro di carico e scarico delle merci, potevo fare l’aiuto cuoco, il mozzo o anche la vedetta di notte.
Quando tornavo a casa, non facevo mai parola dei sacrifici a cui mi sottoponeva quella vita. Né raccontavo troppo delle esperienze vissute quando sbarcavamo in un Paese nuovo ed avevamo qualche giorno libero prima di ripartire. Un po’ perché sentivo di non essere compreso, ma soprattutto perché mia madre una volta me lo chiese espressamente, temendo che, alla lunga, avrei “sviato” mio fratello Giuseppe. E, così, mi limitavo a dire il minimo indispensabile e a sorridere molto facendo trasparire che stavo bene.
Ma, in fondo, io stavo bene perché ogni fatica veniva ricompensata quando avvistavo in lontananza la terra, una nuova terra. In quei momenti vivevo un’emozione indescrivibile: lasciavo tutto quello che stavo facendo e correvo a prua come un bambino sotto l’albero il giorno di Natale, prendendomi puntualmente i richiami dei superiori. Non mi importava perché in quei momenti io recuperavo tutte le mie energie, anzi ne incameravo di nuove. Mi sentivo vivo, fortunato, in pace con me stesso e col mondo. La mia anima respirava libertà.
Le rotte che facevamo mi hanno portato in Africa, India, Cina, Giappone e, infine, in Australia, la terra che mi conquistò perché mi sembrava racchiudere tutte le altre. C’era il mare, anzi gli oceani, il deserto, vaste distese pianeggianti, grandi città e poi, animali strani, persino popoli strani. Era una terra vergine, ancora da scoprire, un mondo pieno di occasioni. Poi negli anni ’60 era in pieno sviluppo e a Melbourne conobbi dei nostri connazionali che avevano avviato da poco una società di trasporti. Facemmo amicizia, avevamo la stessa passione per i viaggi. Mi offrirono un lavoro come autista di pullman per turisti. Avrei accompagnato i visitatori, per lo più americani e inglesi, in giro per l’Australia, da est ad ovest, da Sidney a Perth, dalle coste del Queensland, dove si estende la Grande Barriera Corallina, fino alle lagune di Coral Bay, passando per gli incredibili paesaggi naturali di Uluru e Kata Tjuta nel cuore del Paese. Cosa chiedere di più? Decisi di accettare e di fermarmi a vivere lì, consapevole che quella scelta avrebbe spezzato il cuore a mia madre, ma era la mia vita, non potevo rinunciare. Ed, oggi, posso dire con serenità che non me ne sono mai pentito, nonostante la lontananza da casa.
Quando, parecchi anni dopo, giunse la telefonata di mio fratello Giuseppe alla morte di nostra madre, gli dissi subito che sarei partito col primo aereo. Comprai un biglietto per un volo del giorno dopo. Non ce l’avrei fatta comunque per il suo funerale, ma volevo tornare per salutare mia madre per l’ultima volta. Arrivato in aeroporto, scoprii che il mio volo era stato cancellato e non solo il mio. Tutto il personale di bordo e di terra delle maggiori compagnie australiane aveva indetto uno sciopero per alcune rivendicazioni contrattuali. Fatto sta che lo sciopero si prolungò per alcuni giorni ed io dormii in aeroporto con la speranza di prendere un volo. Ad un certo punto, preso dallo sconforto e dalla rabbia, protestai così tanto con un loro rappresentante sindacale che intervenne la Polizia. Nel parapiglia che si creò, diedi uno spintone ad un agente che cadde e chiamò rinforzi. Fui preso a manganellate e portato in carcere come un criminale. Mi rilasciarono dopo venti giorni. Pregai invano il direttore di farmi inviare un telegramma in Italia per avvertire che avevo avuto dei problemi e che non sarei arrivato subito. Consegnai pure ad un paio di secondini un fogliettino con il testo del telegramma, ma nessuno volle aiutarmi. Quando mi rilasciarono la mia famiglia mi chiese di non telefonare più perché mia madre se ne era andata con il dolore nel cuore per la lontananza da me. Lo stesso dolore mi ha accompagnato per tutta la vita, come una zavorra nell’anima.
Qualche anno fa ho iniziato a sentire il bisogno di tornare a casa, nella terra dove sono nato. Così, appena sono riuscito a vendere la casa in Australia, ho acquistato una cascina da un parente di un mio amico, anch’egli emigrato. Volevo coltivare un po’ di terra, avere degli animali di cui occuparmi. Non mi sono mai sposato, la quiete della vita familiare non faceva per me e poi le donne con me si sono sempre sentite “trascurate”. Non sopportavano i lunghi viaggi che facevo e la mia assenza prolungata da casa.
Ho deciso di fare testamento perché negli ultimi tempi mi sento molto stanco, come non mi è mai capitato nella mia vita. Forse sta per giungere il mio tempo. Lascio tutti i miei averi a chi per legge ne avrà diritto. Ma, soprattutto, vorrei lasciare il ricordo di un uomo che ha vissuto la propria vita come uno spirito libero, uno che si è sottomesso soltanto ai propri sogni, anche se quelli hanno avuto un prezzo pesantissimo. Ma mi piacerebbe essere ricordato anche come un uomo che ha amato ininterrottamente sua madre e la propria famiglia, non dimenticando mai la propria terra d’origine, la più bella che abbia mai visto”.
Antonio rimase impressionato dal coraggio e dalla forza di quell’uomo che da ragazzo era arrivato ad odiare. Ora si spiegava tutto. Gli venne un magone tale che non riuscì a dire più una parola. Gli riconosceva il gran coraggio di essersi avventurato, senza paure, fino ai confini del mondo per soddisfare un’aspirazione che gli veniva dalle profondità del suo animo e una grande forza per aver rinunciato persino alla sua famiglia pur di riuscirci.

Che ne pensate?? Vi siete emozionati come me leggendo questo bellissimo estratto? Io non vedo già l'ora di divorare il romanzo... Seguite tutte le tappe e partecipate al Giveaway per poter conoscere meglio "Della stessa sostanza dell'amore" e il suo autore e avere la possibilità di portarvi a casa una copia del romanzo :)


Commenti

  1. Con Giovanni mi accomuna l'emozione di vedere una terra nuova dalla nave..solo che io come turista..ma quelle sensazioni leggendo questo estratto le ho rivissute :-) veramente ben scritto <3

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  2. bellissima tappa, completa, esaustiva. mi ispira sempre più!

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  3. Caspita, che bell'estratto!! E se solo questo è talmente intenso e ricco di passione, figuriamoci l'intero libro!! :) Son proprio curiosa di leggerlo tutto!!! ^_^ Grazie per questa splendida seconda tappa del BlogTour ;-) ♥

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  4. Bellissimo l'estratto!Sono curiosa di leggere questo libro perché l'estratto mi ha davvero colpita!

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  5. Davvero bello questo estratto, la storia di Giovanni sarà davvero una piacevole lettura!

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  6. Sembra molto bello questo libro! L'estratto mi ha incuriosita! **

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