[Recensione] Augustus di John Williams - Fazi editore




Trama
Sono le Idi di marzo del 44 a.C quando Ottaviano, diciottenne gracile e malaticcio ma intelligente e ambizioso quanto basta, viene a sapere che suo zio, Giulio Cesare, è stato assassinato. Il ragazzo, che da poco è stato adottato dal dittatore, è quindi l’erede designato, ma la sua scalata al potere sarà tutt’altro che lineare.
John Williams ci racconta il principato di Ottaviano Augusto e i fasti e le ambizioni dell’antica Roma attraverso un abile intreccio di epistole, documenti, diari e invenzioni letterarie da cui si scorgono i profili interiori dei tanti attori dell’epoca, i loro dissidi, le loro debolezze: l’opportunismo di Cicerone, la libertà e l’ironia di Orazio, la saggezza di Marco Agrippa, la raffinata intelligenza di Mecenate, ma soprattutto l’inquietudine di Giulia, una donna profonda e moderna, che cede alla lussuria quanto alla grazia.
In Augustus, che valse all’autore il National Book Award nel 1973, protagonista è la lingua meravigliosa di Williams che ci restituisce a pieno lo spirito della Roma augustea.
Un capolavoro della narrativa americana che, fra ricostruzione storica, finzione e perfezione stilistica, non manca mai di dialogare con il presente, e in cui la grande storia è lo spunto per riflettere sulla condizione umana, sulle lusinghe del potere e sulla solitudine di chi lo esercita.

La mia opinione
Se avete amato John Williams in “Stoner” non potete perdere “Augustus”. Una storia completamente diversa, ma che, ancora una volta, fa emergere l’immensa bravura di questo scrittore.
Attraverso un romanzo epistolare, Williams ci parla di uno dei più grandi imperatori dell’Antica Roma, Ottaviano Augusto.
Quando suo zio, Giulio Cesare, viene assassinato, Ottaviano è appena diciottenne, ma capisce subito quale dovrà essere il suo ruolo: tornare a Roma e riportare la pace tra le varie fazioni che si sono create.
Ottaviano, nonostante la giovane età, grazie a degli amici fidati, tra cui ricordiamo Marco Agrippa e Mecenate, riuscirà a farsi amare dal popolo romano, che lo vedrà come un dio mortale.
Ma, come ogni storia di potere, non è mai tutto semplice. La vita di Ottaviano Augusto è dura, fatta sempre di pericoli, intrighi e rischi di congiure.
John Williams non ci parla solo dell’imperatore, ma dell’uomo: un uomo costretto, per via del suo ruolo, alla solitudine. E questo peso emerge sopratutto dai racconti dello stesso Ottaviano: quando sei destinato ad assumere un ruolo così importante, è inevitabile che non riesca più a fidarti di nessuno, persino della tua stessa famiglia.
Ho amato i riferimenti ai poeti e scrittori suoi amici, Orazio, Virgilio, Cicerone, che, per una volta, vediamo in tutte le loro fragilità e nella loro umanità e non come personaggi di un’epoca lontana.
Anche perchè, leggendo la storia, si impara molto anche di ciò che accade oggi: in fondo gli uomini non cambiano e, per quanto possiamo evolverci, la sete di potere, i tradimenti, le discriminazioni, continuano a persistere, rendendoci non tanto diversi dai nostri antenati.
Da donna ho amato particolarmente la storia di Giulia, la figlia di Ottaviano Augusto, alla quale Williams dedica ampio spazio. Una donna forte e intelligente, che, proprio perché donna, non ha avuto la possibilità di emergere in tutta la sua grandezza. Una donna che ha sofferto tanto, perché quando sei la figlia dell’imperatore tutta la tua vita è un progetto e tutti i matrimoni sono soltanto degli accordi politici.
Un bellissimo romanzo storico che, tra finzione e realtà, ci riporta in una delle epoche più prosperose dell’antica Roma, facendo riflettere su giochi di potere, tradimenti, ma, soprattutto, su quanto spesso il potere non renda gli uomini felici, ma soltanto più soli.

Voto finale: 4/5

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