[Recensione] La casa senza finestre di Nadia Hashimi - Piemme
È un giardino piccolo, quello di Zeba, con un cespuglio di rose in un angolo, ma è il suo giardino. E mai avrebbe immaginato di trovarvi, in un mattino di sole, il corpo senza vita di suo marito. E così proprio lei, moglie innamorata e madre generosa, si ritrova accusata di aver compiuto il crimine che rovinerà per sempre la sua famiglia. È così che funziona, in Afghanistan. Zeba, per lo shock, non è in grado di spiegare dove fosse quando l'omicidio è stato compiuto: e, in un attimo, diventa lei l'unica colpevole possibile. Colpevole di avere, forse, ucciso suo marito, ma soprattutto di non aver saputo badare a lui, come se aver perso per sempre l'uomo che amava fosse una sua colpa. Arrestata e imprigionata, Zeba finisce così nella "casa senza finestre", una sorta di prigione per sole donne, chiamata Chil Mahtab, quaranta lune, il tempo minimo che una donna condannata deve passarci. Un posto dove finiscono le donne come Zeba, dietro le quali gli uomini nascondono la propria debolezza; o quelle troppo pericolose, che non stanno zitte; o, ancora, quelle la cui vita è stata rovinata in nome di un onore che non appartiene a nessuno, di sicuro non agli uomini. Con loro, Zeba stringerà amicizie e legami: perché c'è più aria nella casa senza finestre che nel mondo là fuori.
La mia opinione
Leggere storie come quella di Zeba fa riflettere su tante cose. In primis, come le diversità culturali di un paese possano profondamente incidere sulle regole di giustizia.
Siamo abituati a credere nel processo giusto, nell’uguaglianza tra uomini e donne, nell’importanza di regole chiare che governino il nostro mondo. Anche se la giustizia è molto lontana da questo, almeno ci proviamo.
E quando entro in contatto con storie come quella raccontata da Nadia Hashimi, che è un romanzo ma molto vicino alla realtà, non posso non riflettere su quanto ancora abbiamo da fare.
La prima tentazione è quella di lasciare tutto e partire, unirsi a uomini come Yusuf, il giovane avvocato idealista che mette a disposizione i propri studi negli Stati Uniti per il bene del proprio Paese natale, l’Afghanistan.
Qua incontrerà Zeba, accusata dell’omicidio del marito per una serie di indagini che definirle sommarie è poco. Le regole in Afghanistan non sono quelle a cui siamo abituati. Sia chiaro, esiste un codice di procedura penale, esiste l’ideale di giusto processo, ma di fatto si vive in un mondo fatto di tradizioni che schiacciano prepotentemente le donne. E quindi anche i giudici sono interiormente contrastati da questa continua dialettica tra giustizia e tradizione.
Purtroppo, il più delle volte la giustizia ne esce sconfitta. Così accade all’interno del Chil Mahtab, la prigione femminile nella quale è stata rinchiusa Zeba, dove verrete a contatto con i delitti più impensabili.
Vi ripeto, verrebbe voglia di entrare là dentro e lottare con più forze possibili contro un sistema che considera le donne come esseri inferiori.
Non voglio, però, dare l’idea che l’Afghanistan sia un paese con una connotazione esclusivamente negativa. Pur non essendoci mai stata, ogni volta che leggo qualcosa su questo luogo tanto lontano e troppo spesso nominato per la cronaca di guerra e di barbarie, ho il desiderio di visitarlo. Immagino una terra bellissima, in parte ancora pura e inesplorata, con delle tradizioni, come quelle degli amuleti, delle leggende, che sono un’altra parte fondamentale di questa storia, davvero affascinanti.
La storia di Zeba vi entrerà nel cuore. Ancora una volta una storia di donne forti, una storia di legami indissolubili, di amicizia femminile, complicità e un senso dell’onore che supera ogni cosa. All’inizio probabilmente non capirete il personaggio di Zeba, con tutte le sue contraddizioni, ma pagina dopo pagina vi innamorerete di lei, della sua forza e del suo coraggio. Un libro per donne coraggiose: così oggi mi sento di definire “La casa senza finestre”.
Voto finale: 5/5
Commenti
Posta un commento